Al di là del mare, i Balcani. La polveriera d’Europa, secondo una definizione del secolo scorso. Un territorio complesso, geograficamente e politicamente. Un luogo fatto di storie stratificate, una popolazione vicina e lontana culturalmente a noi, un sentire religioso articolato in fedi differenti, uno spazio di sperimentazione politica che ha conosciuto nel volgere di pochissimo tempo il passaggio, sovente traumatico, dalla tirannia alla democrazia. Una realtà che ci assale nei momenti di maggiore problematicità e che rimuoviamo appena possiamo.
Da questo luogo che sa di dolore e disperazione muove il testo di Cinzia Battista. Un viaggio metaforico dentro le pagine della Storia – gli eventi, i documenti, i personaggi, le grandi potenze del mondo – per approdare insieme ai lettori ad una necessaria consapevolezza: quello che accade al di là del mare nostrum, del Mediterraneo, ci riguarda direttamente. Profondamente.
L’Autrice è palmese, laureata in Scienze Politiche ed è dottore di Ricerca, si occupa di politica internazionale, con particolare attenzione alle aree di crisi. Da queste competenze di studio, ha maturato una lunga e approfondita conoscenza delle complesse relazioni tra gli Stati, che emerge in questo testo, intenso nella scrittura e nella riflessione, critico nella valutazione degli eventi, propositivo nelle conclusioni.
I fatti analizzati, alcuni ampiamente noti a tutti i lettori, muovono dalla caduta del muro di Berlino, si addentrano nella crisi del Kosovo, spingendosi sino alla contemporaneità. Una contemporaneità non solo ricca di ferite e irrisolti, ma resa ancora più complessa e instabile dalla recente crisi dei paesi nord africani che si affacceranno, proprio nel prossimo autunno alle elezioni, con l’inevitabile eco nelle scelte politiche degli stati europei.
Sei Repubbliche, la Slovenia, la Serbia – con due province autonome Vojvodina e Kosovo – la Croazia, il Montenegro, la Bosnia-Erzegovina, la Macedonia: questi i Balcani all’indomani dello smantellamento della ex Jugoslavia. Condizioni statali fragili all’interno dei singoli stati, supervisione e controllo da parte delle grandi potenze, vicinanza all’Europa che nello stesso decennio ha ampliato, non senza difficoltà, la propria identità politica (ed economica) con l’ingresso di nuovi stati. Facile dunque, in questa situazione pulviscolare, una galassia in costante e imprevedibile movimento, l’emergere di personaggi problematici come Milošević, uno dei protagonisti principali del libro, che alimentando il nazionalismo serbo, ha provocato non pochi squilibri tra le stesse popolazioni balcaniche e tra queste e l’Europa. Il sogno di una “grande patria balcanica” infatti è stato messo in crisi proprio dall’ingresso nell’Unione Europea da parte di alcuni stati, creando fratture culturali e valoriali, oltre che economiche e politiche. Di qui il sorgere dei conflitti, di natura etnica, il diffondersi di genocidi, e la loro parziale, e altrettanto sanguinosa, conclusione e risoluzione. Attraverso una fitta e attenta analisi dei documenti, testimonianze di storici, uomini del governo, giornalisti, l’Autrice inoltra il lettore nel cuore della crisi balcanica, individuando prima il ruolo degli stati Occidentali nella crisi balcanica del 1991, compresa la “pasticciata” posizione italiana, che si è distinta per l’assenza di coerenza nel corso del tempo (dalla iniziale volontà di sostenere una Jugoslavia unita e indipendente al riconoscimento dell’indipendenza della Slovenia e della Croazia, tra gaffe dell’allora Ministro De Michelis e prese di posizioni radicali di Cossiga, all’affermazione del principio di indipendenza dei popoli riconosciuto dal Vaticano). Il testo prosegue poi con il racconto della guerra in Bosnia, gli accordi di Dayton, con i quali sono state riconosciute due differenti entità quali la Federazione croato mussulmana e la Repubblica serba di Bosnia, e il ruolo degli Usa e dell’Europa nella individuazione di frontiere internazionalmente riconosciute. Una manciata di anni e un nuovo conflitto, quello del Kosovo, minaccia gli equilibri europei. La guerra, questa volta, diventa anche occasione di laboratorio militare, che vede la Nato promuovere “l’intervento umanitario” finalizzato alla cessazione del genocidio degli albanesi, e più in generale al rispetto dei diritti umani, ma con strategie di azione non sempre condivisibili, visto che non sono mancati attacchi alla popolazione civile, danni all’ambiente e uso illegale delle armi. Cambiano, e accade proprio nei Balcani, con un modello che sarà poi replicato altrove, i modelli di conflitti globali, in cui il bisogno di affermazione della democrazia, si traduce spesso in un meccanismo di delazione e sopraffazione degli stati più forti su quelli più deboli. Il percorso, travagliato verso la democrazia, è ancora interrotto dalle emergenze post conflitto, che vedono l’intervento dell’Europa soprattutto nella elaborazione di strategie di collaborazione, patti di stabilità non sempre facili da mettere in pratica. Ma oramai la politica di sostegno, di aiuto e di collaborazione è diventata realtà, a dispetto delle numerose difficoltà incontrate, i documenti si occupano di amministrazione, sicurezza, liberalizzazione dell’economia, trasporto e legislazione. Si tratta di passaggi divenuti – anche quando disattesi – pietre miliari del cammino verso l’integrazione europea. Il punto più alto, dal punto di vista strategico, è rappresentato dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, che ha provveduto ad arresti eccellenti, la cui azione però non è immune da critiche e perplessità, trattandosi di un “gigante senza né braccia e né gambe”, e non sempre equo nella valutazione delle azioni militari jugoslave e atlantiche.
Quello che Cinzia Battista, acutamente rileva e si augura nelle conclusioni, è una duplice prospettiva: da una parte la maggiore concretezza dell’azione dell’Unione Europea (“non più proclami ma fatti”), dall’altra la necessità che i Balcani “rimangano uniti nella loro diversità nel rincorrere il percorso comune europeo e che imparino a usare le loro differenti identità non come strumento di contrapposizione ma di scambio”.
Marilena Lucente